Novembre è un mese caldo nel Ghanzi District, forse non il più caldo dell’anno, ma si arriva anche a 40° gradi. Un caldo secco, tipico delle aree desertiche, che mi ha ricordato quello di Reno, Nevada, dove ho vissuto, dopo essermi laureata, per seguire un Master in studi ambientale. Il deserto mi insegue oppure sono io ad inseguirlo?… Ma. Certo mi piace l’arido terreno che si risveglia con una sola goccia d’acqua. Quando siamo arrivati ci è stato detto che la pioggia mancava da mesi, che una siccità del genere non si era mai vista (global warming??). Gli alberi rinsecchiti e altrettanto gli animali, ma una natura orgogliosa, pronta a rinascere alla prima goccia, e infatti un pomeriggio arriva il temporale, si annusa il profumo di pioggia, un gran piacere durato solamente mezz’ora… e il mattino dopo già dei germogli verdi sugli arbusti bruciati dal sole. Che voglia di vivere, che voglia di farcela, che capacità di sfruttare il poco e dargli valore. Questo è stato l’insegnamento più importante del mio primo incontro con la terra del Botswana.
E lo stesso vale per i nostri bambini, timidi e impauriti per i primi 5 minuti, sorridenti e affettuosi, appena dai loro una carezza, un bacio, o regali una parola gentile. Capaci, come la loro terra, di magnificare il poco, di valorizzare un piccolo gesto.
Mi piace molto questo aspetto dell’Africa, e finché non verrà contaminata dalla nostra cultura, continuerà a darci lezioni di vita, minimizzando le nostre insoddisfazioni e frustrazioni.
Sono belli, ma quanto sono belli i nostri bambini e stanno proprio bene, son contenti, non sono in grado di fingere quando sono così piccoli, si capisce all’istante che la casa di Paolo è un rifugio accogliente e sicuro.
Con Andy, abbiamo anche incontrato diverse persone che vivono nell’area, ne ricordo due che mi hanno colpito particolarmente: Father Slawomir e Uncle Dick.
Father Slawomir è un prete polacco di 50 anni, appartiene alla congregazione Divine Word Missionaries e opera alla missione St. Anna di Ghanzi nel Catholic Vicariate of Francistown. Vive in Africa da 20 anni, prima abitava in Zimbabwe. A Ghanzi, con pochi fondi e tanta fatica, ha messo in piedi una scuola materna a pagamento, che gestisce praticamente da solo, organizzando lavoro di maestre, cuoche e quant’altro e programmando “scientificamente” spese e costi. Cecilia lo ha contatto per aiutarci in loco con la nostra scuola.
È un’entusiasta, entusiasta della sua fede e del suo progetto, della vita. E come non essere entusiasti dopo aver seguito la sua messa della domenica, canti e danze che rallegrerebbero chiunque, io sono anche stata attraversata da una profonda emozione, che raramente mi è capitato di provare.
All’inizio il padre mi sembrava un po’ astratto… noi a dirgli che è dura mantenere la scuola, ci vogliono tanti soldi, e lui a dirci che questo progetto è buono e la Provvidenza ci avrebbe indicato la strada.
Va beh… la Provvidenza…
Ma poi quando gli chiediamo come fa lui ad andare avanti, diventa molto concreto, ci fa vedere i conti, i depliant delle offerte dei supermercati… perché “cari miei, la Provvidenza bisogna aiutarla!”
Uncle Dick è il nostro “vicino”, la sua proprietà confina con quella di Edo’s camp e della scuola. Un uomo anziano, di origine inglese – di cognome Eaton – ha combattuto nell’aviazione militare per la Regina nella seconda Guerra Mondiale, ha vissuto in Sudafrica e dopo il conflitto si è trasferito in Botswana. Mi racconta che quando era arrivato lui in Botswana non c’era niente di niente e che con tanta fatica sono riusciti ad avere acqua, strade, elettricità e ad allevare del bestiame. Oggi con il figlio Clive è tra i maggiori allevatori del Botswana. La sua casa è un’oasi verde, mi rimanda alle case coloniali, con i bianchi rifugiati nei loro paradisi privati, circondati dalla selvaggia terra africana. Un salto nel passato molto emozionante. Uncle Dick è anche stato forse l’unico bianco locale ad aiutare e consigliare Cecilia all’inizio della sua impresa. Mi pare un uomo saggio, intelligente, in grado di capire ciò che stiamo facendo, anche se forse lui – uomo pragmatico e caparbio – non si sarebbe mai messo a fare una cosa del genere.
Perché i bianchi dell’Africa sono indifferenti nei confronti delle popolazioni locali. Questa terra è dura… “si salvi chi può”, difficoltà e sacrifici hanno indurito i cuori, non c’è tempo di occuparsi di questi poverelli boscimani, d’altra parte son qui da sempre e da sempre così vivono, se la caveranno.
C’è però un limite, un limite minimo di dignità. E c’è un dovere: che questi bambini sappiano, che possano imparare a difendersi. Solo per la dignità, che non si può negare a nessun essere vivente.

Anna