Cecilia ed io atterriamo a Maun nel mezzo del giorno, verso le 13.30, l’ora giusta per non farsi mancare la peggio botta di calore che ci potevamo aspettare. Ci saranno più di 40 gradi, e arrivando dall’inverno del nord Italia, l’impatto è potente. Menomale che siamo attrezzate e abituate e in men che non si dica siamo già in canottiera e infradito. Ci accoglie come sempre Andy con il suo sincero e affettuoso sorriso e ci sentiamo già a casa. Sono passate più di 35 ore da quando siamo partite, ma siamo sveglie ed entusiaste, vogliamo sapere come vanno le cose e quasi non facciamo caso al caldo che, con il passare delle ore, non diminuisce.

Arrivate al campo a poco a poco ce ne rendiamo conto, la stagione è clamorosamente indietro. In febbraio di solito siamo nel mezzo della stagione delle piogge, dopo l’estate africana. Ma qui siamo come in piena estate. Il caldo è insopportabile. Anche la notte non da tregua. Si fatica a dormire, e non c’è aria condizionata ad ingannarci su ciò che accade fuori.

La sensazione è di essere un pollo arrosto, chiaramente ancora chiuso in forno, e/o di avere un tale febbrone da cavallo, che ti sembra di essere diventato tu stesso un calorifero, tarato sulla massima potenza.

Durante la stagione delle piogge, che dovrebbe iniziare a dicembre e terminare a febbraio/marzo, la media delle precipitazioni nel Kalahari è di 400 mm, quest’anno alla fine di febbraio siamo solo a poco più di 100 mm. Il nostro vicino di casa, Mr Dick Eaton, 92 anni, mi racconta che questa è la stagione più calda in Botswana da quando lui ci è arrivato nel 1959. È da ottobre che la temperatura si mantiene, con lievi variazioni, sui 40 gradi di giorno e 30 di notte.

Nella riserva l’erba è molto bassa per questo periodo dell’anno e gli animali hanno poco per nutrirsi, la pozza di fronte alla casa di Cecilia è quasi asciutta, ma alla sera arrivano tantissimi animali ad abbeverarsi. Compresi i rinoceronti che in genere non si vedono.

Qualche giorno dopo il nostro arrivo, Cecilia, Sara, una delle nostre maestre, ed io visitiamo il villaggio di D’kar da dove provengono i bimbi per incontrare quelli più grandi che non frequentano più la nostra scuola, ma quella elementare o media pubblica. Il caldo è ancora più feroce, le capanne sono roventi, soprattutto quelle con i tetti in lamiera. Sara ci racconta che di notte si dorme all’aperto nella speranza di un po’ di sollievo dalla calura.

Sono ormai più di 15 anni che seguo le ricerche sui cambiamenti climatici, sono ancora di più gli anni da cui molti miei amici studiosi del clima e dell’ambiente, insieme alla vasta comunità scientifica, diffondono dati e analisi inequivocabili. Il “primo” mondo, quello ricco, trova sempre una via per svincolare. Ci bardiamo nelle nostre case super coibentate e alziamo l’aria condizionata al massimo, ci autoconvinciamo che il problema non esista. I potenti della Terra discutono e discutono sui cambiamenti climatici, arrancano e finiscono sempre per cedere ai compromessi, timorosi di mettere a rischio gli interessi economici dei propri paesi. A questi signori regalerei una notte gratis in una capanna nel villaggio di D’kar, nel pieno dell’estate. Magari capirebbero che non c’è più tempo: il pianeta “si scioglie” e noi con lui.

by Anna Re